EPISODIO 1 - REFERENDUM
Ciao,
spero che questa settimana sia trascorsa con serenità e che stiate tuttə bene!
Ero molto indeciso questa settimana, perché non sapevo a cosa dedicare il nuovo numero di Words. Come sta accadendo da più di un anno e mezzo, la cronaca è dominata perlopiù da dibattiti sulla pandemia e molto rumore di fondo. Allora ho deciso di prendere spunto da un argomento che nelle ultime settimane è uscito un po’ di scena. Infatti negli ultimi giorni non se ne sta parlando molto, ma il referendum sulla legalizzazione dell’eutanasia, promosso dall’associazione “Luca Coscioni” insieme a diversi partiti, movimenti e associazioni, ha raggiunto più di 750.000 firme. Qui potete approfondire tutte le ragioni del referendum. Sostanzialmente si propone di abrogare l’articolo 579 del codice penale, che prevede che “chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui” sia “punito con la reclusione da sei a quindici anni”. Ne approfitto per parlare di referendum. Del resto la prima volta che ho votato era proprio a un referendum!
COS’È
Sostanzialmente è un istituto giuridico, che prevede di consultare direttamente i cittadini su una singola questione, tramite approvazione o rigetto. In altre parole “sì” o “no”. È anche uno strumento di democrazia diretta, per cui sono i cittadini stessi a esprimersi su una questione. Non a caso ho evidenziato “una” e più avanti capirete il perché, ma vado per piccoli passi.
In Italia i referendum previsti dall’ordinamento sono di tre tipi. Il referendum abrogativo prevede che si possa abrogare in modo totale o parziale una legge o un atto con valore di legge. Possono proporre questo tipo di referendum 5 consigli regionali o 500.000 cittadini. È il caso di quello per l’eutanasia legale che, apunto, si propone di abrogare (eliminare) un articolo del codice penale. Ma non finisce qua. La Costituzione prevede anche il referendum territoriale (la consultazione dei cittadini in tema di istituzione di province e comuni) e quello costituzionale, che può essere richiesto da ⅕ dei membri di una camera, da 500.000 elettori o da 5 consigli regionali, entro tre mesi dall’approvazione del parlamento della riforma costituzionale che si sta contestando. Ci sono altri tipi di referendum, come quello propositivo, ma sono solo questi tre quelli previsti dall’ordinamento italiano.
PROBLEMI
Spoiler: non basta dare vita a un referendum per esercitare la democrazia. Di tanto in tanto riecheggia la celebrazione dello strumento referendario come quintessenza della democrazia. Di certo è uno strumento molto utile, ma è un po’ più complesso di così. Detto in altre parole, non è affatto detto che un referendum sia un esercizio di democrazia a priori, ma ci sono alcuni requisiti che vanno soddisfatti, affinché sia effettivamente uno strumento democratico e utile per i cittadini.
Prima non avevo parlato di quorum, ma ora conviene farlo. Sostanzialmente è una soglia percentuale, al di sotto di cui un referendum non è valido. In Italia è stabilito al 50% + 1 degli aventi diritto al voto. Piccola digressione: era il 2016 quando votai per la prima volta. Era il periodo del referendum sulle trivelle e allora da parte del Movimento 5 stelle si proponeva di abolire il quorum nei referendum. La proposta è durata praticamente il tempo di uno schiocco di dita e per fortuna oggi non se ne parla più. Il quorum non è una limitazione all’esercizio della democrazia, ma anzi la preserva. La ragione di fondo infatti è proprio quella di far sì che ad esprimersi su una questione siano la maggioranza dei cittadini, cosa che implica anche che una decisione sia il più possibile rappresentativa della volontà dei cittadini. Dal punto di vista democratico sarebbe indubbiamente un rischio, perché potenzialmente consentirebbe a qualsiasi minoranza organizzata (ma pur sempre minoranza) di abrogare leggi attraverso un referendum, anche se la votazione non è rappresentativa della maggioranza dei cittadini.
Al momento il quorum è previsto per il referendum abrogativo, ma non per quello costituzionale. Però c’è un “ma”. Per le riforme costituzionali è previsto un iter parlamentare diverso, ossia è richiesto il voto della maggioranza assoluta dei parlamentari. A fronte di questo è previsto che si possa chiedere anche un referendum per confermare o respingere la riforma. Come nel referendum costituzionale del 2016, proposto da Matteo Renzi, un altro ottimo “case study”.
A determinare la democraticità di un referendum non c’è solo la presenza o meno di un quorum, ma altri fattori, quali il grado di personalizzazione della votazione o l’estensione della domanda. Il rischio di personalizzare un referendum è che si finisce per votare l’adesione o meno a un certo leader o a un certo progetto politico, anziché esprimersi su una singola questione. Insomma la strategia del “se perdo il referendum, lascio la politica”, oltre a non essere molto efficace, non è un toccasana per una democrazia. Va da sé che un cittadino dovrebbe potersi esprimere liberamente su una singola questione, senza che questo diventi un’adesione a un progetto politico o, peggio, determini dei cambi drastici dello scenario governativo. Il voto referendario dovrebbe essere su una questione specifica e non un voto che prescinde dalla questione stessa.
"Approvate voi il testo della legge costituzionale concernente 'Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione' approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?"
(Domanda sulla scheda elettorale del referendum costituzionale del 2016)
Ma vi ricordate l’ “una” che avevo evidenziato prima? Ecco, è il momento di riprenderla in mano. Tra i problemi dei referendum c’è l’estensione del referendum, ossia quanti quesiti abbraccia. Più sono numerose le questioni da affrontare, più sarà complicato informarsi e avviare un dibattito puntuale e approfondito. L’informazione però è un requisito essenziale per i referendum, solitamente circoscritti a una questione specifica, e dover gestire tanti argomenti complessi può diventare molto complicato per chi nella vita, giustamente, si occupa di altri temi. Oltre a ciò, uno dei problemi di doversi esprimere su più questioni insieme è che con un “sì” o con un “no” approviamo o respingiamo in toto tutte le questioni sul piatto. Invece potremmo trovarci nella situazione di avere delle posizioni diverse su ciascuna questione. Nel caso del referendum costituzionale del dicembre 2016, qualche cittadino avrebbe potuto essere d’accordo sulla riforma del titolo V, ma non sulla riduzione del numero dei parlamentari. Anche qui il rischio è di avere una votazione, che però non sia molto rappresentativa della vera volontà degli elettori.
Insomma il referendum è uno strumento ottimo, ma va maneggiato con cautela.
Ciao a tuttə,
ci vediamo la prossima settimana!