EPISODIO 3 - AMBIENTALISMO
Ciao!
Anche questa settimana ci risentiamo. Chissà quanti di voi sono andati allo sciopero globale per il clima di venerdì. Io sono stato al corteo dei Fridays for future a Torino e ho pensato alle Instagram stories del divulgatore e giornalista Jacopo Pasotti di qualche giorno fa. Pasotti ha parlato di ambientalismo o, almeno, della percezione che scienziati e persone hanno dell’ambientalismo. All’inizio ha spiegato che alcuni scienziati con cui si confronta associano la parola a radicalità, poco spirito critico e poca capacità di dialogo. Così ha chiesto ai propri followers di dire cos’è l’ambientalismo secondo loro. Sono arrivate risposte molto diverse tra loro: c’è chi riconduce la parola a un generico “studiare il tema” e chi invece dà risposte più circostanziate. Perchè non parlarne quindi?
DEFINIZIONE
La definizione da dizionario mette la parola su due piani distinti, uno teorico e uno politico-pratico. La Treccani definisce ambientalismo in prima istanza un “indirizzo teorico che sostiene la preminente influenza dei fattori e delle situazioni ambientali nella formazione e nello sviluppo della personalità e dei comportamenti umani”. Poi lo lega a una dimensione politica: “Termine, che si alterna con ecologismo, designante la politica per la difesa dell’ambiente (inteso come luogo in cui si svolge la vita umana, animale e vegetale, soprattutto in relazione ai problemi dell’inquinamento, del degrado ambientale e dello sfruttamento delle risorse naturali), e la corrispondente azione di propaganda per la salvaguardia dell’equilibrio naturale”. Anche il dizionario Garzanti fa la stessa operazione. In sostanza c’è una dimensione teorica che riguarda il pensiero umano e una pratica, dove l’ambientalismo coincide con azioni politiche concrete.
UN PO’ DI STORIA
La distinzione è cruciale. Dal punto di vista storico il pensiero ambientalista inizia a strutturarsi dalla seconda metà dell’ 800 in poi, quando alcuni studiosi e intellettuali come George Perkins Marsh iniziarono a porre il problema dell’impatto delle azioni umane sulla natura. Qualche forma di protesta in Europa c’era, ma si trattava di casi piuttosto isolati. Sempre nel corso della seconda metà del XIX vengono fondate le prime organizzazioni ambientaliste come la Open Spaces Society nel Regno Unito. Tuttavia è poi nel corso del ‘900 che il movimento ambientalista in senso lato inizia a ritagliarsi uno spazio nell’opinione pubblica, soprattutto nella seconda metà del secolo. Dal secondo dopoguerra in poi nascono le principali organizzazioni ambientaliste più famose come il WWF (1961), Greenpeace (1971) e in Italia Legambiente (1980). Allo stesso tempo si struttura un movimento d’opinione decisamente più solido e agguerrito rispetto agli anni precedenti. Sono anche gli anni delle contestazioni studentesche del ‘68, che misero sul piatto insieme ad altri temi anche quello della difesa dell’ambiente. A ridosso degli anni ‘70 nascono anche i primi partiti verdi/ambientalisti e - fun fact - viene istituita la Giornata mondiale della Terra.
DA NOI
In Italia negli ultimi 30 anni ad eccezione del Partito dei Verdi, che comunque ha sempre ottenuto percentuali contenute, la lotta ambientale spesso si è legata movimenti di respiro più ampio come i movimenti no global (ad esempio al G8 di Genova nel 2001) o i movimenti di protesta contro le grandi opere, come il movimento No Tav. È solo negli ultimi anni con grandi movimenti globali come Fridays For Future o Extinction Rebellion che si fa della lotta per l’ambiente e contro il cambiamento climatico la principale battaglia politica.
RADICALI, OTTUSI, POCO PROPENSI AL DIALOGO?
Si fa presto a dire movimento ambientalista. Spesso racchiudiamo troppe realtà diverse sotto un unico cappello. Insomma più che un cappello è un sombrero. Bisogna avere in chiaro che la parola movimento indica una cosa piuttosto precisa e, quindi, Greenpeace o il WWF sono diversi da Fridays For Future. Sono entrambi ascrivibili all’attivismo, ma non sono la stessa cosa. Dal punto di vista sociologico un movimento è una formazione sociale caratterizzata da alcuni elementi di fondo. In primis è un’organizzazione sociale che si struttura attorno a una questione collettiva con scopi comuni, sia essa in difesa di qualcosa o in opposizione a qualcosa. Cosa più importante un movimento sociale non è organizzato secondo gli schemi di un partito o di un gruppo di pressione (lobby), non avendo una struttura gerarchica rigida e strutturata. Da questo punto di vista c’è molta più permeabilità di un partito. In altre parole: la gente entra, esce e partecipa tendenzialmente con più facilità, non essendoci una struttura verticale, quanto più probabilmente una “rete” di persone. Spesso i movimenti godono di una struttura decisionale policentrica e orizzontale, dove le sezioni di partito fanno spazio a coordinamenti, riunioni informali e assemblee. A ciò si associa anche un elevato pluralismo culturale e delle forme di lotta. Non bisogna concepire i movimenti come un insieme monolitico, ma come una formazione eterogenea sia dal punto di vista culturale sia per quanto riguarda le questioni per cui si decide di lottare. In alcuni casi può esserci questa percezione. Faccio ancora una volta l’esempio del movimento No Tav, che a volte viene descritto dalla penna di qualche giornalista o dalle parole di qualche politico come un movimento di “anarchici violenti”, che pure ci sono, ma sono una parte del movimento insieme a comunisti, socialisti, cattolici, ambientalisti e cittadini preoccupati.
C’è un esercizio che mi piace fare quando vado a qualche manifestazione ed è quello di guardare le bandiere e leggere i cartelli. Spesso ci si rende conto di questa diversità. Ad esempio al corteo di venerdì, pur essendo uno sciopero contro il cambiamento climatico, non c’era solo quella questione. C’era qualche No Tav, qualcuno che manifestava contro l’uccisione degli animali o a favore dei diritti dei migranti. A caratterizzare i movimenti sociali sono anche gli strumenti adottati, molto diversi da quelli di un partito o più in generale della rappresentanza. Esempio: uso di cortei, azioni clamorose, ricerca della visibilità nei mass-media o anche azioni di disturbo o violente, ma questo dipende soprattutto dal grado di conflittualità di un movimento.
GLI SCOPI
Torniamo all’inizio e faccio una premessa: accademici e attivisti hanno due obiettivi diversi. Il sociologo Max Weber aveva un’idea ben precisa del ruolo dell’intellettuale. Nel libro “L’intellettuale come professione” stabilisce i limiti di ruolo dell’intellettuale e, più nello specifico, dell’insegnante con “La scienza come professione”. Per Weber bisogna sempre distinguere la corretta pratica scientifica, non per questo priva di passione, dallo sfruttamento della posizione privilegiata occupata per la diffusione delle proprie opinioni. Opinioni che possono anche essere corrette, ma in quanto opinioni esulano dall’ambito scientifico e dal rigore richiesto dall’onestà intellettuale. Il concetto cardine è l’avalutatività. La scienza non deve dare giudizi di valore, ma deve rivelare i presupposti propri di ciascuna opinione o credenza e le conseguenze che ne derivano. In altre parole deve limitarsi a costringere o aiutare il singolo a rendersi conto del senso delle sue azioni. È una teoria con dei limiti, ma fondamentale per ragionare sulla distinzione dei ruoli. Da parte sua l’attivista ha l’obiettivo principale di convincere le persone della bontà della sua azione e spingere la società verso un cambiamento.
Lo so, è stato un numero piuttosto lungo e vi chiedo scusa!
Alla prossima!