EPISODIO 4 - IMMIGRAZIONE CLANDESTINA
Buon sabato (dovrei dire buon weekend)!
Questa settimana non potevo non parlare di Mimmo Lucano e della sua condanna a 13 anni di carcere. Se non sai chi è, qui viene riassunto chi è e qual è il “modello Riace”. Nei giorni scorsi si è discusso molto della severità della pena, giudicata ingiusta, anche da me. Faccio una premessa. È una mia opinione che ho deciso di esplicitare per correttezza nei vostri confronti e che, credo, sia sostenuta dai fatti, uno in particolare: la Corte di cassazione si è già espressa sull’impianto accusatorio, smontandolo. Ma torniamo alla sentenza dell’altro giorno. Lucano è stato condannato per associazione a delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. In particolare ne ho approfittato per fare un approfondimento su quest’ultimo, visto che non è Lucano non è l’unico a finire sotto processo o indagine durante attività di solidarietà e assistenza a migranti. L’accusa è sempre quella di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
CLANDESTINO
Nell’ordinamento giuridico italiano immigrazione clandestina e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina sono due reati distinti. Ma chi è il clandestinə? La parola deriva dall’avverbio latino “clam”, che significa “di nascosto”. Generalmente con clandestinə ci si riferisce a qualcosa svolto di nascosto, senza l’approvazione o contro il divieto delle autorità (queste le definizioni di Treccani e De Mauro). Ad esempio durante la Resistenza al nazifascismo venivano stampati diversi giornali clandestini, proprio perché l’attività veniva svolta di nascosto e contro il divieto dell’autorità. Quando si parla di immigrazione clandestina il significato ha mutato profondamente. Se di norma l’aggettivo non ha un'accezione negativa (almeno non necessariamente), accostato alla parola immigrazione ha assunto una connotazione decisamente negativa. C’è stato un passaggio di senso da “nascosto” a “illegale”, quindi delinquente e di conseguenza socialmente condannabile. “Gli immigrati regolari e per bene non hanno niente da temere in questo paese. I figli loro sono figli miei. Per gli immigrati clandestini è finita la pacchia; preparatevi a fare le valigie”. A dirlo era Matteo Salvini nel 2018, allora ministro dell’Interno.
La clandestinità però non è un’azione, è uno status che si cerca di condannare socialmente accostandolo all’illegalità. Ho scelto questa frase di Matteo Salvini perché è un esempio paradigmatico di questo processo. Ci sono gli immigratə regolarə, definiti volutamente “per bene”, e poi ci sono gli immigratə clandestinə per cui è finita “la pacchia”. Pacchia non è una parola a caso e ha una connotazione sociale ben precisa, perché indica una condizione estremamente vantaggiosa, senza fatiche, problemi o preoccupazioni. Quindi perché dovremmo aiutare un immigratə clandestinə o perseguire politiche di integrazione e inclusione sociale, se lo stesso è uno sfaccendato che ha avuto tutto dalla vita? Ovviamente è una domanda retorica e sappiamo che la realtà è diametralmente opposta. La realtà è che ad oggi non esistono vie legali per arrivare in Europa e le maglie per fare richiesta di qualche forma di protezione sono state ridotte negli anni, come spiegavo nell’ episodio 0 di Words.
FAVOREGGIAMENTO DELL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA
Il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina viene disciplinato per la prima volta con la legge 40 del 1998, la cosiddetta legge “Turco-Napolitano”, nome che si deve a Livia Turco e Giorgio Napolitano, allora rispettivamente ministra per la solidarietà sociale e ministro dell’interno. Viene identificato chi compie il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con “chiunque compie attività dirette a favorire l'ingresso degli stranieri nel territorio dello stato”. Pensa: fino a 3 anni di reclusione e pagamento di una multa fino a 30 milioni di lire. La legge al comma 2 dell’articolo 10 precisa che “non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato”.
Nel 2002 viene approvata la legge “Bossi-Fini”, dal nome dei primi firmatari. Allora il leader di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini era vicepresidente del Consiglio dei ministri e Umberto Bossi, leader della Lega Nord, era ministro per le riforme e la devoluzione. La legge di fatto inasprì le pene per il traffico di esseri umani e restrinse le maglie per ottenere il permesso di soggiorno.
Tra i punti più criticati ci fu quello dei respingimenti, poiché fu contemplata la possibilità di effettuare respingimenti direttamente in mare in base ad accordi bilaterali tra l’Italia e altri paesi. Tuttavia tra i migranti a bordo delle barche intercettate potrebbero esserci profughi in cerca di protezione internazionale. Quindi il respingimento senza prima una verifica attenta viola l’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che a sua volta recepisce il un principio sancito dalla Convenzione di Ginevra, per cui gli stati non possono rinviare i rifugiati in paesi dove questi sono perseguitati e rischiano la vita.
REATO DI CLANDESTINITÀ
Erroneamente si fa risalire l’introduzione del reato di clandestinità alla legge “Bossi-Fini”, ma in realtà fu introdotto anni dopo, nel 2009, con il “Pacchetto sicurezza”. Di fatto l’illecito aveva natura penale, ma non prevedeva misure come l’arresto o il fermo di polizia (ammessi solo per i reati che comportano una pena detentiva). Infatti venivano sanzionati l’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato con multe da 5 a 10mila euro. Di conseguenza lo straniero che entra o soggiorna illegalmente in Italia viene denunciato a piede libero. Come spiegano due approfondimenti di Avvenire e dell’Asgi, l’introduzione di questo reato è criticabile da diversi punti di vista. Tra gli aspetti criticabili in primis c’è il fatto che si tratta di una pena inesigibile, ossia che lo stato non può riscuotere. Infatti un migrante irregolare, non potendo godere del permesso di soggiorno, non può avere né un lavoro né un conto corrente. Ergo lo Stato lo punisce con una sanzione pecuniaria, che non potrà mai riscuotere, a fronte però delle spese che deve affrontare sia per le pratiche sia per il processo. Inoltre quasi sempre, potendo circolare liberamente, i migranti irregolari denunciati per clandestinità saranno quasi sempre contumaci: vengono citati in giudizio, ma non compaiono. Quando è stata pensata la legge, il reato era stato proposto come deterrente verso gli arrivi, salvo essere smentiti dai dati degli sbarchi nel corso degli anni. Secondo quanto scritto da Avvenire dopo 18 mesi, su 172 fascicoli aperti, solo 55 erano stati definiti, e avevano portato ad appena 12 condanne, 18 patteggiamenti e quattro assoluzioni. Dalle oltre 13mila denunce fatte dall’agosto 2009 si passò a più di 28mila nel 2012, a circa 27mila nel 2016 ad oltre 40mila nel 2017. Le espulsioni però sono state molte meno. Secondo Eurostat infatti sono stati 5.615 i rimpatri di irregolari effettuati dall’Italia nel 2018, di cui appena 435 volontari. E tra il 2017 e il 2018 gli ordini di espulsione sono calati del 25,3%.
Spero che fosse tutto chiaro :)
Alla prossima parola,
Ciao!