EPISODIO 6 - NO TAV
Ciao,
Questa settimana devo chiedervi scusa, perchè il numero della scorsa settimana è saltato. Il lavoro al di fuori di questa newsletter ha assorbito tutte le mie energie e alla fine non ho avuto un attimo per dedicarmi come avrei voluto alla newsletter. Questa settimana però ci sono. Anche questa settimana si è parlato molto di neofascismo e della proposta di sciogliere Forza Nuova, arrivata al vaglio del parlamento. Nel mezzo del dibattito, la destra ha depositato una “contromozione”, che sostanzialmente equipara i No Tav all’assalto neofascista di sabato 9 ottobre. Nei giorni prima da parti diverse sono stati definiti terroristi e anarco insurrezionalisti. Si tratta però di etichette fuorvianti o sbagliate. Quindi mi sono chiesto: perché non provare a fare una definizione di No Tav?
IN PRINCIPIO ERA “NIMBY”
La storia del movimento No Tav è segnata dal continuo smarcarsi da etichette affibbiate da fuori. Le accuse di terrorismo risalgono fin dalla nascita del movimento, ma di fatto non sono mai state provate dalla magistratura, poiché i processi in cui alcuni militanti No Tav hanno ricevuto questa accusa si sono sempre conclusi con delle assoluzioni. Un’altra etichetta usata è quella di Nimby, acronimo utilizzato per definire alcune proteste locali contro opere e infrastrutture. Nimby è un acronimo per “Not in my back yard” (in italiano “non nel mio cortile”), che denota un tipo di protesta contro un’opera in un certo territorio. Spesso si parla anche di sindrome Nimby, identificando una tendenza a protestare ogni volta che le istituzioni decidono di costruire un’opera. Tuttavia si tratta di una definizione problematica e che divide sociologi e politologi. Infatti Nimby non è una parola neutra, ma dà un giudizio di valore: chi protesta è molto particolarista e dettata da motivazioni che potremmo definire egoiste. In parole povere i cittadinə protestano perché non vogliono un’opera nel loro territorio, ma se l’opera venisse costruita altrove non ci sarebbero problemi. Secondo questa concezione è una protesta irrazionale di fronte a un’opera in realtà - almeno secondo i proponenti - giusta, utile e positiva. Quando però si mette in discussione l’utilità dell’opera le cose si complicano. Al netto della legittimità di chi è preoccupatə dalla svalutazione della propria casa vicino a un inceneritore o non vuole che il proprio terreno venga espropriato, la definizione è stata messa in crisi da diversi movimenti di protesta contro le grandi opere, che hanno dato vita a una lotta strutturata non solo dal punto di vista organizzativo, ma da quello intellettuale. Proteste come quella contro l’HS2 nel Regno Unito o come quella contro il Mose o il Terzo valico (e anche il movimento No Tav) hanno dimostrato che dietro alle proteste contro un’opera non c’è solo una motivazione particolare ed egoista, ma si mettono in discussione l’intero progetto, i processi decisionali che hanno portato a costruire l’opera o un intero modello di sviluppo. Non solo non si vuole un’opera in un certo territorio, ma non si vuole l’opera da nessuna parte. C’è una prospettiva molto più ampia del “cortile”. Nonostante ciò il movimento No Tav fino al 2017 è stato classificato come sindrome Nimby nel Nimby forum, progetto patrocinato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero dello sviluppo economico. Però, come scrivevo poco fa, i No Tav non protestano perché non vogliono il Tav in Val di Susa, non lo vogliono in assoluto, perché lo considerano un modo sbagliato di spendere denaro pubblico ad esempio e la ritengono un’opera inutile per il territorio.
NUOVE PROSPETTIVE
Per queste ragioni la ricerca delle scienze sociali si è orientata verso altre definizioni, più neutre, e che spiegassero meglio questo tipo di proteste. Così sono stati coniati altri acronimi come Niaby (“Not in anyone's backyard”, in nessun cortile) o Goomy (“Get out of my back yard”, fuori dal mio cortile), a volte si preferisce parlare di Banana, che sta per “Build absolutely nothing anywhere near anything/anyone”. Di fatto corrisponde al nostro “Né qui né altrove”. Tuttavia la definizione maggiormente utilizzata è Lulu, “Locally unwanted land uses”, utilizzi non voluti del territorio. Si tratta di una definizione che, per quanto non dica nulla sulla ragione delle proteste, è più neutra.
IN SINTESI
Per concludere potremmo dire che il movimento No Tav è un movimento di protesta contro una grande opera (potremmo farlo rientrare nella categoria Lulu), che nasce in un territorio, ma che guarda molto alle dinamiche globali, un po’ per la capacità di mettersi in rete con altri movimenti simili, un po’ le ragioni guardano a dinamiche globali (cambiamento climatico, utilizzo dei soldi pubblici, ecc.).
E con questo ci vediamo la prossima settimana. Alla prossima parola!
Ciao a tuttə!