EPISODIO 7 - INFODEMIA
Buongiorno a tuttə,
Ci rivediamo anche questa settimana, anche se forse dovrei dire che ci rivediamo questa settimana. Qualche giorno fa ho chiesto su Instagram quanti avessero capito il titolo del Tempo sul caso “Pfizer gate”: “Pfizer-gate, le accuse della gola profonda del laboratorio. ‘Errori e ritardi’ spuntano foto e audio rubati”. Non sto a ricostruire il caso (il divulgatore Salvo di Grazia ha spiegato bene cos’è accaduto), perché non è questo il luogo. Inutile dire che la notizia ha gettato un po’ di scompiglio. Da questo punto di vista le scorse settimane sono state molto difficili: si sta parlando molto di terze dosi, anche e soprattutto dopo il servizio di Report. Come avrete intuito oggi vorrei parlare un po’ dell’informazione e dei meccanismi che stanno dietro alla diffusione delle notizie e del loro contrario, le notizie palesemente false, altresì dette fake news. Prima di continuare però faccio una premessa. Non mi piace molto la dicotomia tra fake news e notizie vere, perché non aiuta a comprendere la realtà attuale, molto più complessa e variegata.
INFODEMIA
L’Organizzazione mondiale della sanità ha ripreso questo termine negli ultimi anni ed è tornata a parlarne proprio con l’arrivo della pandemia di Covid-19. Infatti in parallelo alla pandemia vera e propria ha ravvisato il problema della diffusione incontrollata di notizie, che però le persone non riescono a processare adeguatamente. Detto in parole più semplici, ci sono troppe notizie, talvolta non accurate, che rendono la vita difficile agli utenti. La conseguenza è che chi si vuole informare ha difficoltà a distinguere un canale di informazione affidabile da uno di scarsa qualità, ad esempio. Se tutto ciò ha disorientato le persone, che non sanno di chi fidarsi, allo stesso tempo spinge le stesse a fare un salto in più e a dover avere una maggiore coscienza del contesto informativo e di alcuni meccanismi dell’informazione. Ecco perché ho deciso di parlare di questo in questa newsletter. Chi è già iscritto lo sa: Words non vuole raccontare i fatti, ma provare a spiegare cosa c’è prima. È, se vogliamo, una piccola operazione pre informativa. Confesso che è molto tempo che vorrei parlare della pandemia, se non altro perché è un argomento che sta dominando le cronache. Mi interrogo da settimane su cosa potrei raccontare, cercando di arricchire i lettori, ma senza aumentare il rumore di fondo. Eccola un’altra parola molto in voga tra gli addettə ai lavori, almeno nelle nostre bolle social. Con questa parola s’intende la produzione e la circolazione continua e incontrollata di notizie fuorvianti o false, che creano engagement (dibattito) e di conseguenza un sottofondo costante e fastidioso. È come una cassa che ronza o un vecchio amplificatore Marshall collegato a una Stratocaster (i chitarristi mi capiranno).
DUE PAROLE
In inglese ci sono due parole che ci vengono in aiuto: disinformation e misinformation. La prima indica la diffusione consapevole (in malafede) di notizie false. Con la seconda invece ci si riferisce a qualcosa di un po’ diverso, che per certi versi complica le cose. Faccio un esempio: se a diffondere la notizia falsa è un quotidiano autorevole o presunto tale? Ecco che la parola misinformation ci viene incontro, poiché elimina l’idea che dietro alla diffusione di una notizia falsa ci sia la consapevolezza che si sta diffondendo una notizia falsa. Esiste poi una vasta zona grigia che affonda le proprie radici nel cattivo giornalismo, dai titoli sensazionalisti alle notizie raccontate male.
INFORMAZIONE E SCIENZA
Quest’anno tra giornalistə e addettə ai lavori si sta parlando molto della diffusione di fake news e disinformazione, soprattutto in campo tecnico scientifico. Non è di certo una cosa nuova (ve li ricordate il caso “Stamina” e l’olio di palma?), ma la pandemia ha reso forse più evidenti alcuni problemi del giornalismo italiano. Tra questi c’è la mancanza di una solida preparazione tecnica e scientifica all’interno delle redazioni, anche e soprattutto in quotidiani importanti. Il caso dell’olio di palma è abbastanza paradigmatico: la polemica era nata proprio da un programma televisivo accreditato dall’opinione pubblica (e da giornalistə) che aveva mandato in onda un servizio approssimativo sull’olio di palma, dipingendolo di fatto come un alimento nocivo. In pandemia abbiamo visto questa incapacità di fondo in più occasioni, dagli anticorpi monoclonali, dipinti come panacea per la Covid-19, al caso Astrazeneca.
Breve nota prima di proseguire: volutamente vi ho messo link agli articoli di Roberta Villa, secondo me una dei giornalistə che ha coperto meglio la pandemia insieme ad Andrea Capocci del Manifesto e a Isaia Invernizzi de Il Post. Invece qua potete vedere la mappa interattiva con informazioni più complete (qua su Substack non posso embeddare le mappe).
È fin troppo facile dare la colpa della diffusione di fake news ai social network. “Eh, ma su Facebook il virologə è sullo stesso piano di un cittadinə comune che ha la libertà di dire qualsiasi cosa”. Posto che tuttə sbagliamo - anche i virologə - e che un cittadinə ha tutto il diritto di esprimere la propria opinione, con espressioni simili ci stiamo riferendo al mezzo e non al ricevente né, tantomeno, alla sorgente del messaggio. Se proviamo invece a risalire il fiume della disinformazione ci accorgiamo di alcuni aspetti. Chi diffonde notizie false? Perché le sta diffondendo? In che modo è stato possibile che si diffondessero?
Se nel rispondere a queste domande scopriamo che è stato unə scienziatə a raccontare falsità, un giornalistə o unə politicə, scopriamo una realtà decisamente più complessa. Agevolo un esempio. Sappiamo dai dati che la seconda ondata c’è stata e ha mietuto morti. Lo sapevamo già durante l’estate 2020, come sappiamo che i vaccini stanno funzionando. Eppure è dall’inizio della pandemia che opinioni prive di senso scientifico spacciate per fatti non solo vengono pronunciate da scienziatə, politicə e giornalistə (tutte persone che quindi dovrebbero avere una loro autorevolezza), ma trovano e continuano a trovare spazio sui giornali, nelle televisioni e nelle dichiarazioni dei politicə.
In ultimo bisogna considerare anche il grande lavoro d’informazione svolto da tantə giornalistə e divulgatorə sui social network fuori dalle redazioni dei giornali. Mi riferisco ad esempio a Divagatrice aka Beatrice Mautino, Dario Bressanini, Roberta Villa, Giorgio Gilestro e tantə altrə. Aggiungo che spesso si rivolgono a una platea di utenti molto più vasta di tanti quotidiani che in questi mesi hanno contribuito a diffondere falsità e confondere i lettorə.
TUTTO UN PROBLEMA DI PAR CONDICIO (?)
Merita una riflessione anche la questione del contraddittorio, ossia l’approccio per cui se si sta esponendo una certa tesi debba a tutti i costi esserci qualcuna che la pensa diversamente. I talk show si nutrono di questo meccanismo: persone con opinioni diverse, spesso opposte, vengono messi in un’arena a discutere di una certa questione. Quando si trattano questioni tecnico scientifiche però il principio della par condicio (tutte le opinioni devono avere lo stesso spazio) finisce per essere un veicolo di cattivo giornalismo. Prendiamo l’esempio dei vaccini per prevenire la Covid-19. Sappiamo che la comunità scientifica è concorde nel dire che questi vaccini non solo sono sicuri, ma anche efficaci per prevenire le forme gravi della malattia e, in parte, per prevenire il contagio. Ecco perché non è giusto che chi sostiene una posizione opposta, a prescindere dal titolo di studio, goda dello stesso spazio mediatico.
È TUTTA UNA QUESTIONE DI FIDUCIA
Sì, ma perché tutto questo spiegone? Come ho cercato di dire all’inizio di questa newsletter, penso che sia importante far uscire questi discorsi dagli addetti ai lavori ed estenderli anche a tuttə gli utenti che usufruiscono di prodotti informativi in varie forme. La fiducia verso unə giornalista, un giornale o un sito d’informazione non è più un atto scontato. Allo stesso tempo ciò implica che l’utente medio sia molto più “alfabetizzato” di prima sul funzionamento dei media e sui loro problemi, cosicché sia in grado di scegliere le fonti di informazione affidabili e distinguere un lavoro giornalistico di qualità da uno malfatto. In poche parole ha bisogno di essere più consapevole per potersi orientare nel mondo dell’informazione e, di fatto, informarsi meglio.
Se tuttə diamo il nostro contributo (giornalistə e non), ne beneficia l’intero ecosistema mediatico.
Ci vediamo alla prossima parola!